Storia di Casertavecchia
A circa dieci chilometri dalla splendida Reggia
vanvitelliana che ha celebrato nel mondo il nome di
Caserta, sorge il borgo di Casertavecchia, posto a 401
metri sulle pendici dei Monti Tifatini (nome di origine
osca che ricorda i verdeggianti querceti di quelle un
tempo amene pendici, ormai quasi del tutto scomparsi).Ora
Casertavecchia è solo un villaggio agricolo e turistico,
una volta invece era splendida sede vescovile e
signorile, col Castello e la Cattedrale: e però col suo
attuale silenzio, deserta o quasi d'abitanti, conserva
tutta integra la suggestione e l'atmosfera rarefatta di
un lembo di Medioevo, miracolosamente conservatosi
inalterato attraverso un lungo corso di secoli.L'origine
del paese è ancora incerta: comunque pur ammettendo
l'esistenza di un villaggio romano o preromano nella
zona di Casertavecchia, sotto l'influenza dell'antica
Capua, è più agevole riferire l'origine del piccolo
nucleo urbano ai tempi longobardi, nell' VIII secolo. Ed
è proprio uno storico longobardo Erchemperto, insieme al
glossatore di Paolo Diacono, a darci nell'861 la prima
notizia di Casertavecchia di "Casa Hirta" - come egli la
chiama: il borgo appartenne in un primo momento ai
Longobardi del Principato di Capua e fu poi dato
nell'879 a Pandulfo di Capua che ne fu il primo conte.
Nei secoli VIII-IX Casertavecchia vide un notevole
incremento della sua popolazione: l'inizio delle
incursioni saracene spingeva infatti gli abitanti della
pianura a cercare rifugio in luoghi montani più sicuri,
specie dopo la distruzione delle vicine cittadine di
Sessuola e di Calazia, che portò anche al trasferimento
nel borgo montano della sede vescovile. Fino al secolo
XII la storia di "Casa Hirta" si confonde comunque con
quella della Contea di Capua, inserendosi nelle lotte
interne tra i signori longobardi e dei Bizantini e
Napoletani. Nell 1062 veniva occupata da Riccardo I,
conte di Aversa, ed aveva così inizio il periodo della
dominazione normanna che doveva vedere, accanto ad un
maggiore sviluppo della popolazione e della vita urbana,
il sorgere della Cattedrale e di altri importanti
edifici pubblici.
Passata agli svevi, la cittadina conobbe il suo momento
di maggiore importanza anche nel campo politico, sotto
il conte Riccardo di Lauro (1232-1266), del casato dei
Sanseverino, valido consigliere e fiduciario di Federico
Il. Nelle lotte tra Svevi ed Angiomi il borgo fu accanto
ai primi mostrandosi poi devoto ai vincitori, per i
quali parteggiò nella guerra angiono-durazzesca. È
dall'inizio della dominazione aragonese (1442) che
Casertavecchia vede lentamente ma inesorabilmente
sminuire la sua importanza. Con il conte Giulio Antonio
Acquaviva (1578-1596), quando già da tempo si era avuto
ormai un maggiore sviluppo della città verso il piano la
residenza comitale veniva trasferita al villaggio Torre,
nella pianura. Rimaneva ancora, a dare un certo
splendore alla città sui monti, la presenza del vescovo
e la studiosa operosità del seminario. Ma il destino era
ormai segnato: ai primi del secolo XVII anche la
residenza episcopale veniva portata a valle, a Falciano.
E con la venuta dei Borboni nell'Italia Meridionale la
parabola discendente poteva dirsi ormai conclusa: nel
1752 il re Carlo affidava al Vanvitelli l'incarico di
costruire la Reggia di Caserta: era giunta l'ora per gli
abitanti della vecchia città di trasferirsi in pianura.
La stessa Cattedrale, trasformata in parrocchia, venne
affidata a pochi monaci francescani. Sulla sommità del
poggio domina la città un possente torrione cilindrico,
resto dell'antico castello. Nell'anno 861, sorte alcune
liti per la divisione dei feudi tra i signori di Capua,
Landolfo, uscito da Capua, si rifugiava e si fortificava
sulla sommità dei monti Tifatini, lì dove sorgeva il
borgo di Casa Hirta.
Antichissima è quindi la costruzione di queste
fortificazioni; il castello aveva in origine sei torri
ed ampie solenni aule; purtroppo alcuni terremoti e il
passare dei secoli non hanno conservato che ruderi, sia
pure notevoli, di vivo fascino romantico, oltre il
grande mastio federiciano, la torre cilindrica che
rappresenta l'antichissimo emblema della città,
raffigurante il Castello attraversato da un prisma
trasversale che simboleggia un raggio di sole.Con i
contrafforti e la torre cilindrica questo castello si
estendeva su un'area di ben 48.045 palmi quadrati, e
costituiva una delle più importanti fortificazioni
medievali, e tale da avere notevoli influenze su tutta
l'architettura militare di quei secoli, in special modo
su quella della dominazione sveva nell'Italia
Meridionale. Il mastio, popolarmente detto "la Torre",
rimane tuttora in piedi:non presenta alcuna porta di
accesso; ha una forma cilindrica poggiante su una base
poligonali raggiungendo così oltre 30 metri di altezza.
Legata a questa Torre vi è una leggenda che narra di un
tesoro in essa nascosto, finora mai ritrovato.. Altra
torre più piccola, detta "della Lupara", si profila sul
costone inferiore del monte Virgo, a nord est, di
Casertavecchia, a cavaliere del versante settentrionale
del borgo.
Dal castello, percorrendo strette viuzze tra case che
conservano ancora la struttura e il silenzio solenne
degli antichi borghi medievali, si discende alla piazza
del Vescovado.Qui sorgono i più importanti edifici del
piccolo centro: l'imponente Cattedrale, l'antico palazzo
vescovile alla sua sinistra e di fronte la sede del
seminario. Le ultime due costruzioni conservano ancora i
caratteri tipici degli edifici medievali o tardo
medievali con i loro archi ad ogiva e le finestre di
sapore già classico. Ma soprattutto e la Cattedrale,
dedicata a San Michele Arcangelo, che accentra gli
interessi dei turisti e degli studiosi di cose d'arte.La
sua costruzione ebbe inizio sui resti di una precedente
chiesa longobarda, e con materiale che dalla età
imperiale fu preso dal vicino tempio di Giove Tifatino
su cui sorse l'Abbazia di S. Pietro ad Montes, agli
albori del sec. XII, sotto l'episcopato di Rainulfo. Il
tempio fu consacrato al culto di San Michele Arcangelo,
nel 1153, come si legge sulla iscrizione nell'architrave
del portale mediano; ma la costruzione venne ultimata
solo più tardi. L'edificio è chiaramente in stile
romanico ma presenta un singolare innesto di forme
siculo-mussulmano pugliesi e lombarde. Ed è certo uno
dei monumenti più significativi dell'architettura
medioevale nell'Italia Meridionale. La facciata, a
salienti, presenta tre portali centinati e decorati con
sculture allegoriche, simboleggianti la Forza e la
Potenza della Chiesa con evidenti rapporti con le
facciate delle cattedrali pugliesi.Sul portale si apre
una monofora inquadrata da due colonne poggianti su
leoni. Particolarmente interessante il timpano, al di
sopra di archetti pensili, tipici dell'architettura
romanico-lombarda, che cingono tutta la costruzione. Ma,
oltre che per questi archetti, la facciata acquista
animazione per la presenza nel timpano di un loggiato
cieco ad archi intrecciati poggianti su colonnine
marmoree, evidente richiamo a tanti edifici
dell'architettura siculo-mussulmana.Sui tre portali
delle iscrizioni in caratteri longobardi ricordano vari
momenti della costruzione: la prima sul portale destro,
del 1113, ricorda che, alla morte del fondatore, al
vescovo Raintrifo, successe il vescovo Nicola; l'altra,
a sinistra, del 1129, dice che Nicola continuò e ultimò
i lavori, la terza, al centro, che nell'anno lì 53 il
vescovo Giovanni fece rivestire di marmo le pareti della
chiesa.
Meno significative le altre lapidi, sempre all'esterno
della Cattedrale, sul lato sud: sulla facciata una prima
ricorda la scomunica del vescovo Nicola II (1285) contro
degli usurpatori di mulini diocesani; le altre due, sul
portico del Campanile, sono quasi moderne, a memoria del
passaggio per la pianura casertana di Benedetto XIII,
nel 1725 e nel 1729. Un graffito, appena visibile sulla
parete destra del portico, ricorda il famoso incendio
del 1717 che distrusse alcune case e molte carte
importanti dell'Archivio episcopale.Sulla crociera
s'innalza la cupola che è di un secolo posteriore alla
fabbrica della chiesa. E uno dei meravigliosi prodotti
di quell'arte siculo-campana che già aveva espresso le
sue prime fantasie decorative nella Cattedrale di
Salerno per poi farsi più elegante e immaginosa a
Ravello e a Caserta. Nella sua raffinata policromia e
nella vibrante grazia decorativa, questa cupola
rappresentò uno dei risultati maggiori dell'architettura
medioevale in Italia. Il tiburio, costruito con pietra
dolce bicolore, grigio e giallognolo, a scacchiera, con
le sue Otto facce, è diviso in due zone: in ambedue il
motivo dominante è dato da arcate intrecciate che,
nell'ordine inferiore, si sovrappongono a finestra. Il
finto loggiato, costituito dalle arcate intrecciate,
sorge su un cornicione a dentelli sostenuto da
mensolette, ed è sormontato da una cornice più
fortemente aggettata, anch'essa poggiante su mensolette
variamente ornate. Al di sotto delle cornici corrono
larghe fasce decorate con tarsie policrome. Nell'ordine
inferiore ritorna il fiorito motivo già presente nelle
torri di Salerno e nel chiostro di Monreale: rosoni
istoriati, stelle, figure di animali fantastici. Sempre
nell'ordine inferiore i sottoarchi includono dischi a
motivi geometrici, mentre le membrature degli archi e
delle finestre sono rivestite da incrostazioni policrome
a disegni geometrici e stilizzati. Resti di una
decorazione, a mosaico, si vedono pure nell'ambone
quadrato della crociera. Tutta questa ornamentazione è
giustamente da ritenere senza uguale per ricchezza di
colore, varietà di motivi, intensità di effetti.
A destra del Duomo, quasi attaccato alla sua facciata,
sorge l'imponente Campanile, terminato nel 1234 dal
vescovo Andrea, come si può leggere nella iscrizione
posta in un marmo dell'altissima torre. E una massiccia
ma slanciata costruzione quadrata che poggia su di un
arcone ogivale; il primo piano è fornito da una galleria
cieca risultante dagli archi intrecciati, i due piani
successivi si aprono in eleganti bifore, mentre il
coronamento ottagonale si conchiude nei quattro angoli
con torricelle cilindriche su cui è ripreso il motivo
degli archetti intrecciati.All'interno del Duomo è a tre
navate divise da due file di nove colonne monolitiche di
epoca romana, (proveniente dal Tempio di Giove Tifatino)
e con capitelli di stile ionico e corinzio, di diversa
origine, ma tutti di età classica. Il transetto è
rialzato; la navata centrale si conclude in un arcone a
sesto acuto; più piccole le absidi che chiudono la
navatelle laterali. Con richiami più all'architettura
araba che a quella gotica si presentano le volte
costolate del transetto, mentre ancora in legno è la
copertura delle tre navate. Purtroppo in età barocca
furono distrutti gli affreschi, già ritenuti del
Cavallini o della scuola, che ricoprivano le pareti, e
andarono perduti i dipinti del soffitto con la maggior
parte del mosaico del pavimento. Gli unici affreschi
superstiti sono nella Cappellina trecentesca che è a
destra entrando nella chiesa. Al suo fianco, sul muro
maestro, recentemente è stato collocato un busto
marmoreo raffigurante la Vergine, opera di scuola
campana della fine del XIV secolo.
All'inizio della navata centrale, a destra, è posta una
pila a forma di capitello corinzio sorretta da un leone
marmoreo del XIII secolo; a sinistra un identico leone
sorregge una pila rinascimentale. Addossata alla parete
della navata sinistra una tomba cinquecentesca eretta da
Alberico Giaquinto, signore del luogo, per il fratello
Ortensio. All'incrocio tra il corpo longitudinale e il
transetto, a destra, si conserva, alla base di un
pilastro, un elegante affresco di scuola napoletana del
'400, raffigurante la Vergine col Bambino. Restaurato e
restituito all'antico splendore, il pergamo è sostenuto
da quattro colonnine e si avvale di una splendida
decorazione musiva a motivi geometrici in cui si
inseriscono disegni di uccelli, oltre che di alcune
sensibili sculture. Nei bracci del transetto si
conservano altre due tombe del tipo dei sepolcri di Tino
da Camaino: a destra quella di Giacomo Martono (vescovo
di Caserta nel 1360) sotto un baldacchino ogivale; a
sinistra il sepolcro del conte Francesco della Ratta (m.
1359). Dell'altare maggiore o, secondo altri,
dell'antico ambone, è stata recuperata una lastra con
decorazione musiva policroma a disegni geometrici. Gli
stessi disegni si ripetono nella parte superstite del
pavimento a mosaici antistante l'altare: il gusto è
chiaramente siculo-mussulmano.Sull'altare è sospeso un
Crocifisso ligneo, di rude e provincializzante resa
plastica, riferibile alla seconda metà del XIV secolo.
Sul lato sinistro della Cattedrale nel '500 fu costruita
una cappella, visibile anche all'esterno, di forma
quadrata e ricoperta da una cupoletta simile a quella
del Duomo; all'interno vi è un altare barocco in marmo
su cui si trova una tela settecentesca di scuola
napoletana raffigurante: "La Madonna del rosario con
Santi".Sul fianco destro della cattedrale si innalza la
chiesetta dell'Annunziata, piccola e graziosa
costruzione gotica della fine del sec. XIII. Nella
facciata si aprono tre monofore sormontate da un piccolo
rosone. Purtroppo essa è in parte nascosta e deturpata
da un portico settecentesco. Lateralmente sorge un
piccolo campanile a tre piani. L'interno è interessante
per la policromia dell'arcone che precede l'abside
quadrata: su di esso sono raffigurati in medaglioni
circolari gli apostoli. Anche in questo tempietto sono
del tutto scomparsi gli antichi affreschi.